giovedì 1 dicembre 2011

L'importanza di chiamarsi Capitan Price: Modern Warfare 3 e il suo Terminator

No, non è la copertina di Battlefield 3. Sì, è praticamente uguale.
Quello che il sottoscritto ha negli anni portato avanti con i vari Call of Duty è un rapporto difficile: il primo, monumentale capitolo era forse il primo vero "gioco di guerra", uno in cui finalmente la si smetteva di girare in solitaria per paesi occupati dal Terzo Reich al gran completo in totale solitudine, avanzando come nemmeno il buon vecchio Schwarzy dei tempi d'oro, un gioco in cui finalmente si era affiancati da altri poveri sfigati nell'avanzare sotto colpi di mortaio nemici.
Saltato il secondo capitolo e passato direttamente al terzo (sottotitolo: 3) la sensazione era che più che altro si stesse andando alla grande sul viale del riciclo, ma il titolo restava godibile.
Eppoi è arrivato Modern Warfare: un tripudio di esplosioni, di script eccellentemente implementati che mammacheimmersionesparoaiterroristi e di azione al cardiopalma.
Eppoi è arrivato World at War che meh, ancora con sta Seconda Guerra Mondiale. E qualcosa l'ho cominciata a capire. Ho cominciato a capire che Activision è come il nonno di Heidi, che munge e munge e munge finché non resta più nulla da mungere. Che ok, la metafora qui poteva uscire meglio ma s'è capita, su.
Eppure Modern Warfare 2 l'ho giocato, e m'è pure piaciuto.
E mi sono anche sentito un pò in colpa per l'ipocrisia nel giocarlo, ma tant'è, la notte si dorme ancora (poco ma) bene.
E allora, al quinto capoverso che comincia con la E (che è la quinta lettera dell'alfabeto. Illuminati?), si potrebbe anche prendere in considerazione di cominciare effettivamente a parlare di questo Modern Warfare 3, no? Sì, dai.


Capitano Sandman. No, non quello dei Metallica.
Dopo non aver capito un sarcazzo di tutto quello che si è fatto nel corso del precedente capitolo viene da fare un sentito ringraziamento a Gesù videoludico: finalmente è stato ingaggiato uno sceneggiatore che abbia terminato la scuola superiore e si può incominciare anche ad intravedere quello che parrebbe un filo conduttore relativamente ben costruito, che conduce per una campagna priva di pretese narrative ma comunque fluida, avvincente, divertente, semplice nell'esecuzione grazie alla mancata arzigogolatezza della forma a cui tanti titolo, inutilmente, sentono ad oggi di dover aspirare.
E allora via: New York, Parigi, Praga, Berlino e chi più ne ha più ne metta costituiscono le sedi dell'apocalisse scatenata a seguito dei confusi eventi sviluppatisi nel prequel, contribuendo a creare scenari d'azione semplicemente incredibili malgrado l'artrosi che il motore grafico che muove il tutto dimostri ormai in modo palese: il maggiore dei mali sarà nella stragrande maggioranza dei casi qualche singhiozzo del framerate (ma quello è probabilmente perché l'hardware su cui quest'affare è stato girato risale probabilmente al periodo d'anteguerra se paragonato a modelli più recenti), qualche problema di bad-clipping ma tant'è: Modern Warfare 3 si lascia guardare, specialmente quando cala la notte e la pioggia batte incessante.


Solitamente stando LI' a spararsi le pose si riceve qualcosa come una muraglia di razzi RPG in faccia. Ma proprio in faccia.
E viene un pò di rabbia a vedere come ad oggi il gameplay d'un tempo si mantenga divertente: vuoi per la varietà d'azioni, vuoi perché ora stai scalando una parete o sparando da una postazione fissa su MIGLIAIA di russi che neanche l'esercito cinese ce la fa a superare numericamente quella che qui è spacciata per una pattuglia di Ex-URSSisti, il titolo Infinity Ward (bene ricordarlo: orfana dei suoi padri che stanchi della politica del Berlusconi del videoludo hanno fatto bagagli e salutato col dito medio alzato e con loro, in modo molto poetico ed eroico, metà dello studio) - Sledgehammer Games (bravi se ricordate cos'ho scritto prima della parentesi) riesce a non risultare mai noioso.
Magari può risultare ripetitivo a causa d'infelici scelte di level e game design, ma si tratta di momenti davvero sporadici.
Massiccome s'è criticato Uncharted 3 per essere la quintessenza dello script, come si fa a non criticare un gioco che E' uno script? E allora ecco che buona dose delle finezze, dell'apprezzabilissima metareferenzialità di alcune trovate e della succitata varietà vanno a farsi benedire quando ci si rende conto che alla fine al giocatore è chiesto solamente di compiere un massacro indiscriminato, lasciando al copione scritto per l'occasione il compito di cambiare il corso degli eventi a schermo.
Certo è che chi, al contrario del sottoscritto, non abbia mai trovato di che lamentarsi in questa orgia dello scripting, di quello che ormai è un cancro del marketing che si ripresenta a cadenza annuale ma che infondodainonpuoifarglieneunacolpa,èstatoilnano, difficilmente avrà di che lamentarsi.


Una foto che, per chi conosce la "trama" imbastita in precedenza e rimessa in piedi come meglio si poteva sperare di fare in questo sequel, vale più di mille pa(llottole)role. Ma anche no, che poi gli si attribuiscono meriti poetici chenonsifa.

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