mercoledì 6 luglio 2011

Le Origins della Age del Dragon

Traduzione: il Miglior Gioco di Ruolo a memoria d'Uomo
Dragon Age: Origins non è un vero e proprio videogioco: è un'esperienza. Come tale, il titolo di BioWare non va assaporato con la voracità con cui un infante sovrappeso di americana origine si avventa sull'ennesimo cheeseburger del McDonald's, ma con la calma di un monaco Zen, con l'avvalersi della sapiente arte del godere delle piccole cose, del provare piacere non solo nell'osservare un mosaico nel suo complesso ma osservandone uno ad uno gli innumerevoli tasselli che, unendosi, lo formano.

E questo è il "trucco" di Dragon Age, quello di mettere insieme tanta di quella roba da far girare la testa ad ogni amante del fantasy, quella di costruire un universo talmente credibile che sarà difficile uscirne una volta che ci si è amalgamati ad esso, superate quelle poche disorientanti ore iniziali in cui sembra di giocare ad un Gioco di Ruolo talmente vecchio stampo che sembra l'abbiano fatto i nonni di Gary Gygax e Dave Arneson, in qui tutto sembra voler scimmiottare alla grande la creazione dei due geni di qui sopra.

In Dragon Age ci sono anche i draghi. Eh, sì.
E poi però, succede qualcosa. Succede che quel personaggio che può vivere sei diverse "origini", diventa NOI. O meglio: noi diventiamo lui. O qualcosa del genere insomma. Succede, in poche parole, quello che dovrebbe succedere in ogni videogioco che sia degno di questo nome: la cortina di fumo che separa realtà e finzione, quella che ci costringe ogni giorno in panni che non sentiamo nostri, in un mondo grigio e monotematico nella sua ipocrita omogeneità, si dipana e lascia spazio ad un mondo magico, ad un universo costruito con minuzia e cura certosina, dandoci la possibilità di plasmarlo con le nostre azioni, di intessere legami profondi con gli splendidi personaggi creati dai quei geni del character design di BioWare, di far sì che sia la nostra volontà a condurci per un viaggio che, nella sua linearità, nel suo prendere per mano il giocatore e condurlo verso una storia fantasy vista e rivista, riesce comunque ad essere estremamente differente ad ogni "giro di boa".

C'è pure la tipa nuda a cui piace farlo strano: che chiedere di più?

A conti fatti, dunque, il più grande pregio di Dragon Age: Origins è quello di permettere al giocatore di sentirsi effettivamente partecipe di quello che accade attorno al suo alter ego, ma senza mai farlo sentire il catalizzatore prestabilito di ogni cosa: malgrado sia difatti il nostro ruolo nell'avventura, non ci sentiremo mai indispensabili, mai il classico semi-sconosciuto che viene fermato dal classico pazzo del villaggio che fa discorsi da vecchio che guarda gli scavi scuotendo la testa ed indicandoci il cammino che la predestinazione ha tracciato per noi in un mondo in cui un giorno la carta igienica avrà il nostro viso stampato sopra.

A ciò va aggiunto che la trama è prelevata di prepotenza da una qualsiasi opera a caso del signor John Ronald Reuel Tolkien, e che malgrado i suoi a tratti telefonatissimi sviluppi, riesca comunque a lasciare in bocca un sapore di epico che ha ben pochi eguali in tema di fantasy videoludico.

Si chiude l'atroce sviolinata sul sontuoso comparto narrativo del capolavoro in questione con una nota che vale come una bibbia sulla voce in esame: le scelte multiple nei dialoghi. No, davvero, perché nessuno aveva mai pensato di sfruttarle come questi qua? Ci voleva tanto?


Uno dei personaggi più memorabili degli ultimi dieci anni di storia del videoludo

Giocare Dragon Age: Origins, riporta un pò ai tempi dell'indimenticato Baldur's Gate II: Shadows of Amn (da cui, effettivamente, ricalca - non copia, ricalca - il sistema di combattimento), proponendo un sistema di battaglia che se la prende comoda, ma non abbastanza da lasciare il giocatore a mangiare patatine durante gli scontri: la possibilità di mettere in pausa scontri in tempo reale, con molteplici avversari a schermo, dà al tutto un'impostazione gustosamente tattica, a cui comunque gli amanti dell'action possono tranquillamente rinunciare senza per ciò incrinare il valore complessivo di quello che è un battle-system sapientemente costruito. 


Le cosiddette "Uccisioni Violente", possono provocare eiaculazioni precoci nei patiti del fantasy gore

La progressione del nostro personaggio e di relativi comprimari (tutti controllabili tramite la pressione di un tasto) è lenta, non regala nulla che tutti gli altri giochi del genere DEVONO regalare per tenere buona un'utenza che si stanca presto se "non impara il lancio della testata nucleare del drago" al livello 3.
Qui è necessaria una dosata e studiata distribuzione dei punti esperienza che si ottengono, che porti a ciò a cui la nostra idea di guerriero ideale, individuale e di gruppo, si avvicini di più.
Andranno, inoltre, curati i rapporti con i membri del gruppo, onde evitare che essi possano tradirci in particolare circostanze e per far sì che essi ricevano determinati bonus in base al rapporto che possiedono con noi. E sticazzi, se si insinua che una cosa del genere possa risultare alla lunga superficiale a causa dell'esistenza dei cosiddetti "doni".


Niente paura. Se avete salvato la partita.

Le noti dolenti, onde non lasciare un ricordo troppo bello del titolo (che creerebbe quindi troppe aspettative in chi non l'abbia mai giocato), giungono infine: un framerate del genere non si vedeva dai tempi di Big Rigs: Over the Road Racing (in cui, però, i camion andavano effettivamente troppo lenti perché anche un gruppo di neonati sviluppasse un motore incapace di sostenerne la velocità -eccezione fatta per l'inesistenza di rallentamenti durante le retromarce a 5000 km/h). Proprio così: Dragon Age: Origins, su console, fa pena. Sembra di giocare ad un Prince of Persia in cui il tempo si ferma, solo che qui lo fa di sua spontanea volontà facendoci ritrovare, saltuariamente, ricoperti di frecce da capo a piedi perché questo o quell'ordine è andato perduto nel loop spaziotemporale che ha fatto sua vittima il povero motore grafico creato da quegli stronzi di Arctic Edge o come cavolo si chiamano - giuro non ricordo.

Come già detto, Dragon Age: Origins è un'esperienza. Come tale, merita, se non di essere vissuta, per lo meno di ricevere una possibilità, se non altro per onorare lo sforzo atavico evidentemente compiuto in fase di sviluppo per creare un mondo da cui, una volta entrati, si vorrà difficilmente uscire.

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