lunedì 4 luglio 2011

L'epopea di Mr. Marston [Review]

Di Red Dead Redemption ho già ampiamente parlato in questa recensione qua, non potendo tuttavia, per ovvie ragioni di luogo e metodi, esprimere ogni mia sensazione sul blockbuster Rockstar. E allora viva i blog no? 






Red Dead Redemption è uno di quei titoli che, appena appena cominciati, ti vien da lanciarli nel cestino, da porti a tuo avviso retoriche domande sulla natura di Dio e, perché no, da usare come alternativa ai sonniferi.
Sì perché la produzione Rockstar (oltre che ad aver costituito un calvario per la vita stessa dei suoi sviluppatori) ha il raro pregio di prendersi con calma: non parte buttandovi in faccia sezioni action confusionarie in cui tra una manica di morti che saltano in aria a sinistra ed una che si affoga a destra vi vengono comunicati, tramite breve e a sua volta confusionario tutorial, le azioni intraprendibili dal Nostro; anzi, pare proprio che la grande R le schifi queste sezioni, facendo sì che ognuna delle svariate missioni di cui il titolo si compone risulti raramente in uno sparare su folle abnormi in netta inferiorità numerica.

Perché il cuore di Red Dead Redemption non è quello. Perché il fulcro dell'esperienza "Wild-Wild-West-ara" made in San Diego non risiede nell'uso di pallottole e slow-motion sempre più scimmiottati da Suà Maestà Max Payne.

RDR è stato creato, e dunque crea la sua esperienza da sè, durante una di quelle lunghe e frequenti e (sigh) skippabili cavalcate per le aride steppe, rigogliose praterie, cupi boschi e chi più ne ha più ne metta che costituiscono un mondo, un ecosistema credibile e tremendamente affascinante dalla cui esplorazione deriva tutta la gioia che l'esperienza giocosa può dare.

E poi sì, ci sono di mezzo millemilla missioni, alcune molto più ispirate di altre, ma tutte utili a condurre ad uno dei finali più potenti della storia del media videoludico, uno di quei finali che non ti aspetteresti manco se ci fosse scritto in copertina, una di quelle cose che ti porta a voler rigiocare il tutto, al contemplare l'idea del perfezionismo del pluriagognato 100% di completamento.

Ignoriamo pure la parentesti multiplayer perché, per quanto divertente, è assolutamente indegno contrappeso ad una bilancia che già sostiene quanto fin qui descritto.

E allora che cos'è Red Dead Redemption? E' un Third-Person-Shooter dai controlli piuttosto macchinosi. E' un gioco d'avventura meraviglioso per chi adora perdersi (letteralmente) in scenari vivi ed intriganti. E' un'opera d'arte, per il modo in cui riesce a coinvolgere il giocatore attorno al suo elemento principale, John Marston, e per come trascende il concetto di crime-game da sempre Made in Rockstar, mutandolo in un "Play-Clean" da gioco fatto da un gruppo di poliziotti per un progetto comunale, che ti incoraggia a fare il bravo senza però negarti alcuna possibilità di far strage di chiunque s'incontri lungo il proprio cammino.

Tuttavia, sono pronto a scommettere che, passate le prime difficili ore di gioco, nessuno farà il cattivo: la posta in gioco è troppo alta.

P.S. Si sa, ci sono dei cani che proprio non vogliono saperne di giocare bei giochi, gente come proprio-te-che-giochi-a-Bayonetta-e-dici-che-è-meglio-di-Devil-May-Cry, che possono tranquillamente rovinarsi il finale migliore della storia dei videogiochi, molto semplicemente cliccando qua.

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